lunedì 13 gennaio 2014

La philophobia, quando l'anima affoga credendo di nuotare


Cari amici,
in questa mia ultima, ma non ultima lettera al mondo, parlerò della philophobia.

Anche se non sono un medico.

E’ una vera e propria malattia.

La philophobia è subdola, è una patologia della psiche e dell’anima.
Chi ne è colpito non se ne accorge, non lo percepisce.
La percepisce la persona che le sta al suo fianco. E la percepisce dopo giorni e giorni.
Senza nessun sintomo premonitore. Esplode implacabile ed improvvisa.
Poi dilaga. Dilaga nella vita quotidiana, dilaga nell’anima, dilaga nel cuore.

E dilaga anche nella persona che non ne è colpita.
Perché non capisce. Perché non comprende il comportamento tenuto dall’altra.
E cerca di trovare dentro di se una risposta che non trova.
Che non troverà, se non dopo giorni e giorni.

Invece per la persona affetta da philophobia è una cosa normale fuggire, scappare, isolarsi, abbandonare un rapporto già solido oppure in fase di costruzione.

Proprio un rapporto in fase di costruzione è quello a maggior rischio.
E’ quello soggetto all’attacco più duro.
Perché potrebbe essere l’unico rapporto in grado di sconfiggere definitivamente la philophobia. Cancellare per sempre dalla mente e dall’anima della persona la voglia di scappare, cancellare la paura di essere nuovamente abbandonata, cancellare l’ansia di non riuscere ad amare.

La guerra contro la philophobia è dura e difficile da combattere perché la mente dice una cosa ed il cuore ne dice un’altra. Perché un equilibrio non esiste. Perché vedi l’altra persona che si sta allontanando e sai, dopo giorni e giorni di meditazione, quali sono i motivi del suo comportamento.

Cerchi delle “terapie” ma non sono accettate dall’altra persona: non vuole “guarire”.

La paura le ha preso il sopravvento, le manca il coraggio di mettersi alla prova per superare se stessa, le subentra la ricerca di un desiderio di libertà  ma che poi non è altro che un ulteriore gradino verso le parti basse della propria esistenza.

Quando scrive, se scrive; quando parla se parla, ti accorgi delle contraddizioni del suo pensiero con i fatti che compie.
E queste contraddizioni, che non le puoi analizzare con lei perché sarebbero un’arma in più per la malattia, ti fanno male, molto male.

Provi a spiegarti ad aprirti. Ma è peggio. Solo peggio.
Ed allora quella persona scappa. Diventa introvabile.

E scappando crede di raggiungere la libertà.
Invece raggiunge solo un piano più basso del grattacielo della sua vita.  
Invece di innalzarsi, si abbassa.
Invece di migliorarsi, peggiora.
Invece di provare a vivere con la persona giusta, potrebbe rifugiarsi dopo con la persona sbagliata.

Dicevamo che crede di  essere libera.
Invece la libertà vera è quella di amare, esseri liberi di amare.

La persona philophobica non è libera di amare perché è prigioniera inconsapevole di un passato, è l’ostaggio, non sapendo di esserlo, di esperienze che la tengono stretta in un abbraccio mortale.

E’ insomma una persona con delle catene, che non le sente e che non le pesano

Le sente solo chi la ama. 
Chi la capisce.  

Non so quale sia la “terapia” giusta. 
Non credo ce ne sia.

Cari amici,

vi auguro di non combattere mai una guerra contro la philophobia.

Riccardo Cacelli
Londra, 10 gennaio 2014, City Hall